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512 ATTO QUINTO

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SCENA V.

La Marchesa sola.

È molto, che s’accomodi così placidamente.

Convien dir che di donne non gl’importi niente.
Credea con questa nuova dargli un disgusto amaro;
Ma quando a lui non preme, in verità l’ho caro.
Ma! mi vo immaginando le nozze assai vicine,
E ancor di questa cosa non è sicuro il fine.
Quando si vide mai, che un simile contratto
Fosse con due parole subito detto e fatto?
Io credo che il Marchese sia venuto per questo;
Peraltro era impossibile concludere sì presto.
Ma come si è introdotto? Che cavalier garbato!
Si può parlar di peggio di quel che mi ha parlato?
Parmi ancora impossibile, col mio temperamento,
Di aver sofferto il filo del suo ragionamento.
Eppur ci sono stata; e a forza d’insultarmi,
Bel bello mi ha condotto dove volea guidarmi.
Alfine è un gran partito. Non vi è eccezione alcuna;
Per me sposarmi a lui non è poca fortuna.
Basta che non m’inganni anch’egli, il malandrino:
Vi è poco da fidarsi del sesso mascolino.
Noi siam le capricciose, parlar chi sente gli uomini;
Specchiatevi nel Conte, signori galant’uomini;
Oh, quanti ce ne sono, in cento e cento bande,
Amanti come lui del lor merito grande!
(con caricatura, e parte)

SCENA VI.

Sala con tavolino e sedie.

Donna Bianca, poi il Conte.

Bianca. Che vuol da me l’ingrato, che mi circonda e tace?

È meglio che mi lasci, e che sen rieda in pace.
S’accosta, e poi tremante al guardo mio s’asconde:

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