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88 ATTO QUINTO

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Carolina.   Quel signor forastiere.

Elisabetta. L’ammalato? (a madama Marianna)
Marianna.   Sì, quello. (un poco ridente)
Federica.   Andrete al suo paese?
Marianna. No, per grazia del cielo, anch’ei si fa Olandese.
Carolina. Eccolo lì lo sposo. (accennandolo fra le scene)
Elisabetta.7 L’ora è tarda, madama.
Tornare ai nostri tetti ora il dover ci chiama.
Per me grazie vi rendo alle finezze vostre.
Marianna. Madama, mi son note le costumanze nostre.
Lo so che conversare l’uso fra noi dispose
Le figlie colle figlie, le spose colle spose.
Però restar potete; sposa ancora non sono.
Elisabetta. Deggio partir, madama, domandovi perdono:
Consolomi di nuovo del vostro gentil sposo:
Il ciel con lui vi doni la pace ed il riposo.
Finor fu da sorelle fra noi tenero affetto,
Qual figlia in avvenire vi amerò con rispetto.
So che per nozze acquista donna un grado maggiore;
Ma voi, cara Marianna, siete umile di core,
E so che mi amerete con amistà perfetta,
E so che sarò sempre la vostra Elisabetta. (parte)
Marianna. Che bel cor! (a Carolina)
Carolina.   Fa da piangere. (a madama)
Federica.   Addio, diletta amica:
Il cielo vi consoli, il ciel vi benedica.
Credetemi, vel giuro, son dalla gioia oppressa;
Godo del vostro bene, qual farei per me stessa.
Fate il vostro dovere, amate il sposo vostro;
Ma deh, non vi scordate ancor dell’amor nostro, (parte)
Giuseppina. Datemi un bacio almeno. Or che diverse siamo,
Chi sa, gioia mia cara, quando più ci vediamo?
Ma basta, da fanciulle fummo amiche fidate,
Chi sa che non lo siamo ancor... da maritate?
(parte vergognandosi e correndo)

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