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I MORBINOSI 393

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Lelio. Basta che io li sappia.

Ottavio.   Ed ancor io li so.
Giacometto. E a mi gnente, gramazzo.
Lelio.   Ed a voi, signor no.
Giacometto. Me despiase che a tola done no i ghe ne vol;
Che la vegna; faremo tuto quel che se pol.
Brigida. No no, sior paronzin, ghe son tanto obligada.
Sola con tanti omeni? la xe una baronada.
Me maraveggio gnanca, che el me la vegna a dir.
Ottavio. Sentite? vostro danno. (a Giacomeilo)
Giacometto.   La prego a compatir.
Ho dito quel che ho dito senza pensarghe su.
Dopo d’aver disnà, vegniremo qua nu.
Ottavio. Ma signor Giacometto, così non si favella,
Lelio è il sol possessore del cuor di questa bella.
Egli non vuol nessuno. Io so di certa scienza,
E di venirvi, al più, avrò io la licenza.
Lelio. Nè anche a voi nol concedo. (ad Ottavio)
Giacometto.   Sentìu? (ad Ottavio)
Ottavio.   Perchè tal cosa?
(a Lelio)
Possibil che per me siate così ritrosa? (a Brigida)
Non volete ch’io venga? siete crudel così?
(a Brigida)
Brigida. Che el vegna pur.
Giacometto.   Sentìu? vôi vegnir anca mi.
(a Lelio)

SCENA VI.

Andreetta e detti.

Andreetta. Presto, che se dà in tola.

Brigida.   (Deboto i vien qua tuti).
Andreetta. Cossa xe sto negozio? Oe, principieu dai fruti?
(ai tre compagni)

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