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458 ATTO SECONDO

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SCENA III.

Madama Sciormand e il Conte.

Madama. Mi perdoni, signore, è questo un torto,

Ch’ella fa alla mia casa. Il pasticciere
Che salisca le scale io non comporto.
Conte. Rispettate, madama, un cavaliere:
Se il desinar si manda in casa vostra,
Chiese vostro fratel un tal piacere.
Madama. Degenerante mio fratel si mostra
Dal sangue nostro, e con azion sì vile
La fama oltraggia della stirpe nostra.
Conte. Siete dunque di stirpe signorile.
Madama. Un sonator fu il nostro genitore,
Di cui al mondo non si diè il simile.
Conte. E menate per ciò tanto rumore?
Credeva, salmisia, che derivaste
Dalla costa di qualche imperatore.
Madama. Ma le bell’arti a’ nostri dì son guaste
Da tanti vili professori abbietti,
Ch’arder se ne potriano le cataste.
E quei che sono professor perfetti,
Come il nobile mio signor fratello.
Alle ingiurie del volgo van soggetti.
Oggi il ballo, signor, non è più quello;
La nobil danza non è più apprezzata.
Ma il ghignetto, la morfia e il saltarello.
Bella cosa vedere una spaccata!
La facessero gli uomini, pazienza;
Ma le donne la fanno alla giornata.
E si prendono tanta confidenza
Coi palchetti e il parter, che sembra loro
Discorrere e ballar coll’udienza.
Non si usa più quel nobile decoro

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