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460 ATTO SECONDO

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Che fra le mode questa è la migliore:

Vivere a spese d’altri se si può,
E blandire e adular chi è di buon core.
Madama. Io le finezze disprezzar non so;
Ma il pranzo che ha recato il pasticciere,
Fu ordinato per me?
Conte.   Madama no.
Madama. Per chi dunque?
Conte.   Dirò da cavaliere
La pura verità: per Giuseppina
Solo preso mi son questo pensiere.
Madama. È una semplice abbietta ballerina,
Suddita del signor fratello mio.
Provvedere dovrà la mia cucina?
Degna di queste grazie non son io?
Ah pur troppo la sorte ai sciocchi arride;
E si abbandona il merito all’obblio.
Questo è quel che mi affanna, e che mi uccide;
Han le scolare i protettori intorno,
E del merito mio nessun si avvide.
Ma so il perchè; perchè il mio viso adorno
Di finte grazie non alletta i stolti.
Grazie inventate dal bel sesso a scorno;
Ma se vedeste smascherati i volti
Che vi paion sì vaghi, a me più tosto
Gli occhi sarian ammirator rivolti.
Conte. Dite, madama mia, ditemi tosto:
Il vostro volto non ha niente niente
Di quel bello, che il ver ci tien nascosto?
Madama. Con licenza, signor: l’impertinente
Giuseppina sen viene a questa volta;
Non mi degno di star con simil gente. (via)
Conte. Un discorso che spiace, non si ascolta.
Io la tocco sul vivo, ed ella tosto
Le spalle francamente mi rivolta.

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