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Tonina.   Sior sì, per quella zoggia.

De straziar la scrittura debotto me vien voggia.
Carluccio. No, non temete niente. So io quel che farò.
Dirò che non la voglio, con lei non canterò.
Tonina. Se gh’è qualche duetto, savè quel che so far;
Se lo cantemo insieme, faremo innamorar.
Annina. Se ai bisogna di duet, ai n’ho tra le mi carte.
Tonina. Vu no ghe intrè, patrona, che sè l’ultima parte.
Annina. O l’ultima, o la prima, ain parlaren un dì.
Tonina. E no la se vergogna a metterse con mi? (a Cari.)
Carluccio. Io son primo soprano; primo sopran son io;
La prima donna in scena la voglio a modo mio.
Pasqualino. Carluccio, vi consiglio per or non far rumore.
Carluccio. Nelle mie pretensioni cosa c’entra il tenore?
Siete forse geloso? Questa sarebbe amena.
Fate all’amor in casa, io lo vo’ fare in scena.
Tonina. Sior sì, volemo far quel che volemo nu. (a Pasq.)
Pasqualino. Quest’impicci alle mani io non li voglio più. (getta tutto)
Tonina. Vardè che animalazzo! Sè ben un temerario... (a Pasq.)
Tolè su quelle scatole. Digo a vu, sior Maccario.
Maccario. A me? (con meraviglia)
Tonina.   Che maraveggie? ve podè incomodar;
Sé vegnù tante volte in casa mia a disnar.
Maccario. Io non fo il servitore.
Tonina.   Vardè là che spuzzetta!
Tolè su, caro fio. (al servitore di Annina)
Maccario.   (Superbia maledetta!
Ma se ho da fare un libro, di vendicarmi ho l’arte.
Voglio far per costei una pessima parte).
Carluccio. Ecco la prima donna.
Tonina.   Xe ora in verità.
S’ala stuccà gnancora? s’ala ben sbelettà?

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