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Leandro. (A Dorval) Mia sorella deve esserne prevenuta.

Dorval. Non saprei dirvelo; lo zio me l’ha proposta, ed io mi riporto alla sua condotta.

Costanza. (Da sè) (Non è dunque opera di mio marito).

Leandro. (A Dorval) Deggio farla venire?

Dorval. No, no, non mi par tempo di farlo. Geronte non è in casa, aspettiam che ritorni.

Leandro. Come vi piace.

Costanza. Io non arrivo a capire cosa alcuna di tutto ciò.

Dorval. Scusatemi, deggio scrivere; l’amico Geronte mi ha permesso di farlo nel suo gabinetto; fra poco avrò l’onore di rivedervi. (entra nell’appartamento di Geronte)

SCENA VI.

Costanza, Leandro.

Costanza. Voi non siete dunque l’autore dell’accasamento di vostra sorella?

Leandro. E mio zio che l’ha proposto, è vero.

Costanza. Vostro zio? Ve ne ha egli parlato? Vi ha almeno fatto chiedere il vostro consentimento?

Leandro. (Un poco alterato) Il mio consentimento? Non avete veduto Dorval? Non è venuto egli stesso a parteciparmelo? Non chiamasi tutto questo dimandar il mio assenso?

Costanza. Questa è una politezza di Dorval; ma vostro zio non ve ne ha parlato.

Leandro. (Imbarazzato) La cagione è... può darsi...

Costanza. La cagione è ch’egli ci disprezza, voi ed io pienamente.

Leandro. (Con calore) Voi prendete sempre le cose sinistramente; voi siete... insopportabile.

Costanza. (Mortificata e irritata) Io insopportabile! Voi mi trovate insopportabile? Questa è la prima volta che vi è sortita di bocca una espressione contro di me ingiuriosa; convien dire

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