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126 | ATTO TERZO |
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Pregato il ciel che secondasse il colpo.
Germondo. Torni al barbaro stile? Orsù, Rosmonda,
Veniamo al fin delle contese nostre.
Stanco son di soffrir l’alterno giuoco
Di speranza e timor. Vieni. Il mio core
Tutto ti vuo’ svelar.
Rosmonda. No, non sperate
Vincermi per inganno. Io qui t’ascolto,
Parla se vuoi.
Germondo. Guardie, apprestate i seggi. (alle guardie
Sdegnerai di seder presso Germondo
Nell’atrio regio e de’ custodi a vista?
Rosmonda. Sederò. (Che dirà?) (da sè
Germondo. (Faccia il rigore
Ad onta del mio cuor la prova estrema). (da sè
Rosmonda, amor solo d’amor si pasce;
Or dimmi: pensi tu che amarti io voglia
Sempre senza speranza, e ch’il mio affetto
Ad onta del tuo sdegno abbia a serbarti?
Ah sì, stanca il mio cor quell’ostinato
Rigor con cui mi sprezzi; omai Rosmonda
Tutto l’affetto mio converte in sdegno;
Pria però ch’una fiamma all’altra ceda
Torno a offrirti il mio cor; di lui disponi,
Di te stessa decidi.
Rosmonda. Non violento
Il tuo cor a serbarmi affetto o sdegno.
Amami se lo vuoi, ma di mercede
Non lusingarti; odiami pur se il brami,
Nè sperar d’atterrirmi. Ho in seno un core
Incapace a pentirsi, e se provasti
La mia costanza in ricusar l’affetto,
La medesima sorte avrà lo sdegno.
Germondo. Crudel, sarai contenta. Ormai cominci