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256 ATTO TERZO

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Ottone. (Gioie, non mi uccidete). (da sè

Griselda.   Oh dei, che ascolto!
Io consorte d’Ottone?
Gualtiero.   Egli è il più forte
Sostegno del mio scettro; e tal che puote
Compensar i tuoi danni.
Griselda.   Io di colui
Che ancor del sangue d’Everardo ucciso
Ha fumante la spada?
Gualtiero.   Elà!
(esce una guardia con Everardo
Griselda. Che miro?
Gualtiero. Eccoti vivo il figlio.
Griselda.   O figlio, o dolce
Conforto del mio cor!
Gualtiero.   Solo ad Ottone
Devi sì cara vita; egli dovea
Ucciderlo, e nol fece: ei lo nascose,
Perchè troppo ti amò. Giusta mercede
Or della sua pietà fia l’amor tuo.
Ottone. Ai comandi d’un Re, se non ai prieghi
D’un amante fedel, cedi, o Griselda.
Griselda. Ah mio Sire...
Gualtiero.   Ubbidisci, io tel comando.
Griselda. Mio Re, mio nume, e per fatal destino
Mio sposo un tempo, e mio diletto ancora,
Se de’ tuoi giusti cenni in ogni tempo
Legge mi feci, il sai: dillo tu stesso.
Popoli, il dite voi, voi che il vedeste.
Mi ritogliesti il regno, io noil pretesi;
M’imponesti l’esiglio, ed io v’andai;
Tornai ninfa alle selve, e fui contenta;
Venni ancella alla reggia, e fui paziente.
Mali, rischi, sciagure, onte e disprezzi,
Tutto, tutto soffersi; e lo soffersi

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