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322 ATTO TERZO

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Elisa.   Eh tutto lice

A chi serba nel cuore onesta fiamma.
Se mi amaste, crudel, com’io v’adoro,
Cerchereste d’avermi a voi vicina.
Carino. Cavalier... (a don Giovanni
Elisa.   (Me infelice!)
D. Giovanni.   A me che chiedi?
Carino. Ai finti detti, alle mentite voci
Di femmina sleal, non date fede.
Elisa vi tradisce. Ella ha per uso
D’ingannare gli amanti.
D. Giovanni.   E d’onde il sai?
Elisa. Eh fatelo tacer.
D. Giovanni.   No, parla.
Carino.   Io stesso
Della sua infedeltà prove ho sicure:
M’ha giurata la fede, or m’abbandona.
D. Giovanni. Senti, Elisa, il pastor. (ad Elisa
Elisa.   Nol nego, il feci
Per compiacer la madre mia. Voi solo
Amo però di vero amor.
D. Giovanni.   Non lice
Sciogliere i nodi altrui. Pastor, ti rendo
La sposa tua: s’ella è infedel, perdona
L’uso del sesso in lei; credi che meno
Incostanti non son le donne nostre.
Elisa. Ah barbaro, così...
D. Giovanni.   Ma che? Vorreste
Per novello desio cangiar lo sposo?
Bello invero sarebbe un tal costume!
Oh quante, oh quante imitatrici avreste,
Se ciò far si potesse! Eh siate paga
Di lui, che vi accordò la madre e il cielo.
Elisa. Mi schernite, crudel?
Carino.   No, no, vi cedo (a don Giovanni

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