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Lisca. Oggi che borea spira, ci sentirete.

Vajassa. Che?
Zama. Sorda è sempre ad un modo. (ad Ibraima
Ibraima. Pare così anche a me.
a Zama
Vajassa. Voglio saper di ognuna O prima di tutto il nome,
Quando comprate foste, donde veniste, e come;
E più dell’altre schiave conoscere mi preme,
Due che son qui venute ad ingiuriarmi insieme.
Ibraima. Ibraima è il mio nome, Tartara di nazione.
Saran due anni ormai, che mi comprò il padrone.
Vajassa. Quando saprò chi siete, saprò anch’io regolarmi.
Ibraima. Se parlo, e non mi sente, è vano il faticarmi.
Zama. Zama son io.
Vajassa. Non credo di domandar gran cosa.
Zama. Di Tartaria qua venni per essere la sposa;
Ma il mio destin crudele... (2)
Vajassa. Son donna di buon cuore;
Anch’io son stata giovine, e so cos’è l’amore.
Saprò qualche cosetta facilitare anch’io:
Basta che il ver mi dite.
Lisca. Mosca è il paese mio.
Lisca mi chiamo; in Persia venni, non so dir come.
Vajassa. Via, ditemi, ragazze, la vostra patria e il nome.
Lisca. Non vel dissi? /or/e
Vajassa. Può darsi.
Zama. Non avete sentito
Da noi la patria e il nome? forte
Vajassa. Eh sì, sì vi ho capito.
(Di lor poco mi preme). Da voi vogl’io sapere
Chi son quell’altre due, che sembrano più altere.
Lisca. Una è Fatima, e l’altra è Ircana l’orgogliosa.
L’una è sposa d’Alì, l’altra è di Tamas sposa.
(I) Ed. Pitteri: ogni una. (2) Nell’ed. Pitteri e nelle altre tette è stampato:
eroda/. (3) Rist. torinese e Zatta: Ah si. si.

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