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Zadir. No, Camur, le catene non fanno 3 mio tormento,

Non recami la morte un’ombra di spavento.
Duoimi del rio destino della mia patria oppressa;
Duoimi de’ cari amici, e di Deimira istessa.
Sventurata Deimira, da me sperata invano,
Che farà fra catene degl’inimici in mano?
Ahi che mi straccia 3 cuore l’amor, la gelosia.
Camur. Non temer di sua fede. Deimira è figlia mia.
Allor che i Portoghesi tratta me l’han dal fianco,
Vidi 3 suo cuor nel volto, cuor generoso e franco.
E a me gli occhi volgendo in quel fatai periglio,
Della maggior costanza mi assicurò 3 bel ciglio.
Zadir. Credi tu che una donna, men di noi salda e forte,
Abbia cuor di resistere alle lusinghe accorte,
E che la sua beltade rara in queste pendici
Accendere non vaglia 3 cuor degl’inimici?
Se le offriran quegli agi che fra di noi non spera,
Come potrà sdegnarli donna per uso altera?
Negli Europei non manca 3 perfido valore
D’avvelenar col labbro delle donzelle 3 cuore,
E della tua Deimira 3 cuor superbo, ardito.
Cederà della sorte al lusinghiero invito.
Camur. Ah se la figlia mia... nel ripensarlo io tremo;
Ma no, di sua costanza, del suo valor non temo.
Pronta sarà Deimira, per non vedermi esangue,
Pirma dell’innocenza ad offerire 3 sangue.

SCENA IL

PAPADIR e detti.

Zadir. Ecco a noi Papadir.

Camur. Sentiam quel ch’ei ci reca.
Cambierà la fortuna.
Zadir. Ah la fortuna è cieca.

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