< Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXIV.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.
A saziar la fame vengono destinate.

Ci chiamaro Antropofagi; lor sembrò cosa strana,
Ch’uomini si potessero cibar di carne umana.
Ci dissero selvaggi, ci dissero (■) spietati,
Barbari con noi stessi, e alla natura ingrati.
Camur. Non imbandir mie mense carni di mia famiglia.
Prima morrei di fame, che uccidere mia figlia.
Zadir. La beltà di Deimira dal ciel non fu creata
Per essere agl’ingordi da noi sagrificata.
Il docile costume, le amabili parole
Fan che da noi si veneri, come si adora il sole.
Papadir. Bene; quella bellezza che fra di noi si onora.
Dagli Europei nemici vien conosciuta ancora.
Zadir. Ah non fia ver che gli empi (2), avidi sol dell’oro,
Trionfino di questo sì amabile tesoro.
Aprano della tena le viscere feconde,
Spoglino le miniere dove più l’oro abbonde,
Portino ai regni loro le stolide ricchezze,
Anime sconsigliate alle rapine avvezze:
Ma quest’unico bene che rende altrui giocondo,
Non osino crudeli rapir dal nostro mondo.
Sì, Definirà è adorabile, l’amo più di me stesso.
La gelosia mi porta fino all’estremo eccesso.
Rapir se a noi la vogliono quei perfidi inumani.
Saprò Deimira istessa svenar colle mie mani.
Camur. No, non temer, son certo che la mia figlia ancora
Il genitor rispetta, 3 proprio sangue onora.
Serberà nei cimenti il cor saggio e pudico.
Chi viene a questa volta?
Zadir. È il perfido nemico.
(I) Ed. Pi I ieri: dhser. (2) Ed. Pitteri: gT empj.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.