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SCENA III.

Don Alonso con seguito, e detti.

D. Alonso. Di pace, Americani, data abbiamo la fede.

Olà; quelle catene traggansi lor dal piede.
(i Soldati levano le catene a Camur e a Zadir
D’intorno a queste selve cessino Carmi ultrici.
Libertà vi si rende. Noi vi vogliamo amici.
Camur. Dell’amicizia offerta da te si chiede un segno.
Rendimi la mia figlia.
Zadir. Rendi al mio cor il pegno.
D. Alonso. Chi è colei che chiedete?
Camur. Deimira è il sangue mio.
Zadir. E del cor di Deimira il possessor son io.
D. Alonso. È tua sposa?
Zadir. Che sposa? Fra noi straniero è il nome.
Legano i nostri cori begli occhi e belle chiome.
Quando in un cor si desta l’amor, la simpatia.
Basta che dica il labbro: questa donzella è mia.
Ella ricusa invano, femmina all’uom soggetta,
Cedere prontamente è al suo destin costretta.
E se un rivale ardito alCamator si oppone.
Dal sangue, dalla morte decisa è la tenzone.
D. Alonso. Barbara, cruda legge che la natura offende.
Che il cor delle donzelle tiranneggiar pretende.
Dimmi, quella bellezza che t’arde e t’innamora,
I coniugali amplessi ti ha conceduti ancora?
Zadir. No, sul momento istesso ch’io disvelai l’ardore.
Giunsero l’armi vostre, me la strappar dal core.
D. Alonso. Buon per lei, che innocente ancor sia riserbata.
Merla miglior fortuna quell’anima bennata.
Non s’usi violenza della donzella al core.
Libera, com’è nata, dee scegliere l’amore.
Ma consigliando il core della ragion col raggio,
Porgere non vedrassi la destra ad un selvaggio.
rm

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