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L'ombra della felicità 61

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— Signora! Mi riconosce? Mi riconosce?

— Subito l’ho riconosciuto! È lei, caro Soranzi, che non mi riconosce più! Ed è così poco cavaliere da lasciarmelo capire!

Claudio s’imbalbettava.

— Non si confonda! Segga. Non si confonda, è scusato! Lei è un giovanotto sempre! Ma segga, la prego.

Claudio sedette, le due mani prese dalle due mani della signora che tremavano d’una schietta effusione. Egli non trovava nemmeno le poche parole di menzogna adulatrice che la pietà suggerisce ad ogni uomo per ogni donna che invecchia. Ma come si poteva sfiorire, in otto anni, a tal segno? Di tutta la grazia spensierata d’un tempo, di tutta la bruna avvenenza più nulla restava che il sorriso e gli occhi profondi, irriconoscibili pur quelli, nell’ovale emaciato tra i capelli quasi candidi, troppo semplici, troppo raccolti.

Era il tramonto completo, precipitato non dagli anni soltanto, ma dal tormento interiore, dall’abdicazione volontaria.

— Caro, caro Soranzi! Quante belle cose mi ricorda lei! — incalzava la signora, sempre stringendogli le mani, tentando di ritrovare il suo sorriso ed il suo riso leggero, irriconoscibile ormai, nota pallida sulla corda allentata

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