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canto settimo 165

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23
  Gano a quel detto ha la testa inchinata,
e si fece la croce e aggfiunse tosto:
— Laudata sempre e non mai bestemmiata.
Voi potete ben credere — ha risposto —
che per me indifferente non sia stata
questa faccenda. Io sperava all’opposto;
ma le cose avvenute, o bene o male,
arcani son del giudice immortale.
24
  E’ mi dispiace sol che il giovinetto
di tanto merto impiego alcun non abbia;
ma pregherò Gesú mio benedetto
che in pazienza ei soffra e non in rabbia.
— S’altro unguento non hai nel bossoletto
— disse Marfisa, — tu mi par da gabbia;
e’ si vuol ben pensar ch’egli abbia stato
un uom che non ha pari e nobil nato. —
25
  Rispose Gano: — Un posto oggi è vacante
di cavalier di camera al re Carlo,
ch’è di trecento e piú zecchin fruttante
il mese; e so ben io come vi parlo.
Ma v’è di mezzo non so qual brigante,
senza di cui non si può guadagnarlo;
certa persona incognita v’è sotto,
per seimila zecchini in un borsotto.
26
  Io non n’ho che tremila e gli sacrifico,
ma per gli altri tremila non ho modo. —
Disse Marfisa: — Assai di te m’edifico,
ma per gli altri tremila è duro il chiodo.
Fammi parlare al mezzo, e mi certifico
ch’io ridurroUo vizzo, s’egli è sodo:
saprò toccar le corde e tórre il vento
fer far che de’ tremila sia contento.

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