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canto nono | 215 |
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Tutte dinanzi al Crocifisso nostro
andiamo ad intuonare il Miserere,
perché la sventurata questo chiostro
soffra con pace, e a noi la lasci avere. —
Marfisa ha nero il cor piú che l’inchiostro:
la rabbia l’avea priva del vedere.
Le monachette dietro a quella santa
andáro a salmeggfiar dove si canta.
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Questa giovine bella, e raro esempio
nel secolo d’allora pestilente,
piú satirette addosso di qualch ’empio
aveva e biasmi, se Turpin non mente.
Diceasi ch’ella avea un cervei scempio,
la macchina insensata interamente;
che, non sentendo stimol di natura,
nulla valea la sua santa bravura.
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Una postilla in certo testo a penna
trovo: che di Parigi ella non era,
ma da Vinegia giunta in sulla Senna,
e volontaria fatta prigioniera.
La storia d’essa un’altra cosa accenna,
cioè che con pretesti una gran schiera
d’abatin, per vederla, ogni momento
crollava la campana del convento.
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E questo degli abati sará vero;
ma ch’ella fosse veneziana nata
non posso rassettarlo nel pensiero,
poich’ella avea la macchina insensata.
In quel clima non nasce di leggero
scempi cervelli o carne raffreddata;
donde penso: o Tarpino il falso scriva;
o ella non fu veneta, o fu viva.