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232 la marfisa bizzarra

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  Io non vo’ certamente altri compagni:
Dio m’ha condotto, Dio mi riconduca. —
L’abate aveva un suo destrier de’ magni,
che sana stato un bel presente a un duca.
Non era tempo a pensare a’ sparagni:
bardato fé’che il bel corsier s’adduca.
Mille baci il guascone appicca ai frati:
sale a cavai con gli occhi imbambolati.
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  L’abate i crocioni rinno velia,
dicendo: — Andate in nome del Signore! —
Rispose Filinoro: — Ho il corpo in sella,
ma nelle vostre man rimane il core. —
Un laico un suo ronzin con la bardella
rassetta, in fin che gli altri fan l’amore.
Filinor sprona, e a lanci via n’andava;
il laico d’un trotton lo seguitava.
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  Lasciamgli andar, che poi li troveremo.
Io so che nel pensier Marfísa avrete,
e come giunta eli ’era al caso estremo
nel monastero vi ricorderete.
Parve per qualche di d’un cervel scemo.
Guardava il cibo e dicea: — Non ho sete; guardava
il vino e dicea: — Non ho fame; •
donde ridean le monacelle dame.
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  Ma la calamitá raffinamento
d’indomiti cervelli anch’esser suole.
La bizzarra tra sé pensava drento
che il gridar e il far forza erano fole.
— Io fingerò — diceva — cambiamento
e nausea per il mondo, con parole;
ben verrá il giorno della mia vendetta:
il savio tempo e luogo e punto aspetta. —

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