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canto decimo | 241 |
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Le calze ha cenerognole di stame,
che aveano sparse alcune cicatrici,
guarite, or colla seta verderame,
or colla rossa, da’ buchi nimici.
Piangean le scarpe dolorose e grame,
che aveano avuti assai pietosi uffici.
Malg^g^ delle volte piú d’un paio
lor dedicato aveva il calamaio.
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Le brache ha di sovatto violetto,
perché cercava brache consistenti;
sopra il ginocchio è corto il coscialetto,
e per l’untume sono rilucenti.
Guardava il mago or lo spazzo or il tetto,
al ragionar de’ paladin parenti,
i quai chiedean che l’arte sua traesse
e dove sia Marfisa lor dicesse.
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Poich’ebbon detto, il mago si fé’chino:
prima di dir volea soffiarsi il naso.
Avea si rotto e lordo il moccichino,
che di tenerlo in vista non v’è caso.
Mise la testa sotto al tavolino
(vecchio scrittoio in tre gambe rimase),
e poich’ebbe la tromba ben suonata,
questa risposta a’ paladini ha data:
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— Stupisco che voi siate si ignoranti,
e che giunto all’orecchie non vi sia
che usciti son de’ libri nuovi alquanti,
i quali han disertata la magia.
Non vi sono piú streghe o negromanti,
un’impostura è oggi l’arte mia.
I moderni scrittor spregiudicati
i negromanti al sole hanno mandati.