< Pagina:Gozzi - La Marfisa bizzarra.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.

canto terzo 59

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gozzi - La Marfisa bizzarra.djvu{{padleft:69|3|0]]

7
  Quando passava le barche sui fiumi,
dove per i cavalli e per le ruote
si paga e le persone, avea suoi lumi,
e dicea d’esser del padron nipote.
Poi si grand ’aria mostra ne’ costumi,
e franco è si che lascia le man vuote
al barcaiuolo, ed al partir: — Se mai
t’occor mia protezion — dicea, — l’avrai.
8
  Tuttoché Filinor studi ogni punto
j)er il risparmio, alcuna volta a forza
o per la pioggia o per il fango è giunto
dove la sete co’ danar s’ammorza;
sicché della pecunia è quasi munto,
e va gridando al cocchier: — Batti, isforza, —
che col viaggio il terzo gli mancava.
Il cocchiere or rideva, or bestemmiava.
9
  Perch’era come a batter delle botti
che fosser vuote, a picchiar que’ cavalli;
si rimbombavan né sentiano i bòtti,
perocché in ogni parte aveano calli.
Né pensar mai che nessun d’essi trotti;
s’ivan di passo, era da ringrazialli.
Sappi che alcuna volta si fermavano
e come pietre il flagel sopportavano.
10
  Un giorno, albergo a mano non trovando,
dicea ch’era vigilia con digiuno
ed altre maliziette va innestando.
— Tiriamo innanzi — diceva a ciascuno.
Il lacchè disse: — Io mi vi raccomando:
voi non mi siete padrone opportuno; —
e gambettando con gran leggiadria,
con l’arme del Vesuvio fuggi via.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.