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atto quarto. 105

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Jen. Non chieder più. Fu amor che mi condusse.
Mil. Ben lo so che fu amor. Ma che più bado?
  D’un’alma delinquente, dall’eccesso
  Confusa, detti stolidi son questi.
  Disarmatelo tosto. In prigion dura
  Vada, e il Regio Consiglio si raduni:
  Deciso sia della sua vita, (entra con impeto)
Jen.                                    Ingrato!
  (getta la spada) Eccovi il ferro, ecco la vita
                                                         mia.
  Mi tolga morte ornai da tante angosce;
  Ch’io più non posso. Avverrà forse un giorno,
  Che il fratel mio mi pianga, e in sul sepolcro
  Con sospiri e singulti, invan mi chiami
  Col nome d’innocente. (a parte) Or sarai
                                                    lieto,
  Crudel Norando. Il sacrifizio basti
  Di questo sangue almeno. Altra sciagura
  Non succeda al fratello, e con Armilla
  Viva lieto i suoi dì.
Lean.                               Principe! Ah come
  Vi riduceste a tal misfatto?
Tart. Ah come mai, Jennaro mio?...
Jen. (con impero)                          Basti.
  Rimproveri da voi non soffro. Siete
  Ministri? D’un Re il cenno obbedir dessi.
                                     (entra con fierezza)
Lean. Ebben, l’eseguiremo.
Tart. Oh senza dubbio. (entra colle guardie die-
                                               tro Jennaro)

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