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atto quarto. 115

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  Con scherzi e baci furo, e che giammai
  Godergli potè l’un senza dell’altro. (Millo com-
                                                    mosso piangerà)
  Vi ricorda fratel, che agli aji, ai servi,
  Ed a’ maestri io sempre m’accusava
  De’ puerili errori vostri, e voi
  V’accusaste de’ miei. Ch’unqua di febbre
  L’un di noi fu assalito, che mestizia
  L’altro non assalisse, e non piangesse;
  E le man tenerelle dell’infermo
  Stringendo tra le sue, non si staccava
  Mai dal suo letto, rasciugando all’altro
  Ora il sudor dal viso, ora scacciando
  Molesti estivi insetti, ora porgendo
  Con prieghi affettuosi i succhi amari
  Di medic’arte, con la propria bocca
  Assaggiandoli prima, e cuor facendo
  Al fratel suo di berli. Or che mai vado
  Rammemorando affettuosi modi?
  Io vi priego, fratel, che da’ prim’anni.
  Sino all’adulta età nostra, un sol tratto
  Mi ricordiate, che d’amor non fosse,
  Del più tenero amore. E allìn sovvengavi
  Dal dì, che il fatai Corvo trafìggeste.
  Gli spasmi, le fatiche, i rischi miei;
  Che per voi rapitor fui di donzelle,
  Ratto fatai! ma che vi die la vita.
  E reo mi giudicaste d’attentati
  Contro di voi? Di morte reo, crudele,
  Mi condannaste?

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