< Pagina:Gozzi - Le fiabe. 1, 1884.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

atto quarto. 119

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gozzi - Le fiabe. 1, 1884.djvu{{padleft:341|3|0]]

  Rimorso e angoscia della mia innocenza,
  Giacchè il volesti. A’ detti ultimi sono.
Mil. Ah no, non dirli, fratel mio.
Ien. (con isdegno e risoluto) Son questi.
                                     (segue con voce debile)
Armilla, ch’ha in potere, se sposa suo fratello,
  La notte un mostro orrendo trangugierassi quello.
Se non gli reca Armilla, o gli palesa il fatto,
  O con nessun fa cenno con parola, o con atto;
Il decreto è infallibile; se in nulla mancherà,
  Una statua di marmo Jennaro diverrà.

  Combattei col dragone questa notte.
  Che la porta spezzai. Fu quello il colpo.
  Che ti serbò la vita, e ch’è cagione
  Per serbarti la mia, ch’ora... la perdo.
  Salvati da Norando... io più non posso. (segue
  tremuoto, e Jennaro cambia il capo e la fac-
  cia in marmo)
Mil. (con disperazione) Fulmina, Ciel, percuotimi.
                                                    Innocente
  Fratel, chi mi t’ha tolto? Oh Dio! Soldati,
  Servi, Ministri, era innocente il mio
  Caro fratello. Io fui, che l’ho tradito;
  Io son di morte reo. Deh mi recate
  Nella Reggia l’amaro simulacro.
  A’ suoi piedi morrò distrutto in lagrime.


    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.