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222 Turandot

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  Ricche taglie promise a chi recasse
  I capi nostri. Lettere ai Monarchi
  Con lumi, e contrassegni ebbe spedite,
  Con le quali chiedea di noi le teste.
  Tu sai, quanto è quel fier da ognun temuto,
  Se un caduto Monarca è più infelice
  Per i sospetti, di qualunque uom vile,
  E quanto val politica di stato.
  Un provvido accidente mi fè noto,
  Che ’l Re d’Jaich per tutta la Cittade
  Cercar facea di noi secretamente.
  Ai genitori miei corsi veloce;
  Gli animai per la fuga. Il padre mio
  Pianse, e la madre pianse, e in braccia a morte
  Voleano darsi. Amico, oh qual fatica
  L’anime disperate è a porre in calma,
  Del Ciel gli arcani, ed i decreti suoi
  Ricordando, e pregando! Alfin fuggimmo,
  E nuove angosce, e nuove inedie, e nuovi
  Patimenti soffrendo...
Bar. (piangendo) Deh, Signore,
  Non dite più; sento, che ’l cor mi scoppia.
  Timur, il mio Monarca a tal ridotto
  Con la sposa, e col figlio! Una famiglia
  Real, la più clemente e prode, e saggia,
  In tal mendicità! Deh dite: Vive
  Il mio Re, la sua sposa?
Cal. Sì, Barach,
  Vivono tuttidue. Lascia, ch’io narri
  A qual triboiazion soggetto è l’uomo,

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