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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gozzi - Le fiabe. 1, 1884.djvu{{padleft:455|3|0]]
Chiaman altro, che amori. (è in atto di guardare
il ritratto. Barach impetuoso gli mette
sopra una mano, gl’impedisce il vederlo)
Bar. Per pietade, Chiudete gli occhi...
Cal. (respingendolo) Eh via, stolto, m’offendi.
(guarda il ritratto, riman sorpreso, indi
grado grado con lazzi sostenuti s’incanta
in esso)
Bar. (addolorato) Misero me! qual infortunio è questo!
Cal. (attonito) Barach, che miro! in questa dolce effigie,
In questi occhi benigni, in questo petto
L’alpestre cor tiranno, che narrasti,
Albergar non può mai.
Bar. Lasso! che sento?
Signor, più bella è Turandot, nè mai
Giunse pittore a colorir le intere
Bellezze di colei. Non celo il vero.
Ma non potria degli uomini eloquenti
La più faconda lingua dispiegarvi
L’ambizion, la boria, i sentimenti
Crudi, e perversi del suo core iniquo.
Deh scagliate, Signor, da voi lontana
La velenosa effigie; più non beva
La mortifera peste il guardo vostro
Delle crude bellezze, io vi scongiuro.
Cal. (che sarà sempre stato contemplando il ritratto)