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atto primo 233

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  Chiaman altro, che amori. (è in atto di guardare
  il ritratto. Barach impetuoso gli mette
  sopra una mano, gl’impedisce il vederlo
)
Bar. Per pietade, Chiudete gli occhi...
Cal. (respingendolo) Eh via, stolto, m’offendi.
  (guarda il ritratto, riman sorpreso, indi
  grado grado con lazzi sostenuti s’incanta
  in esso
)
Bar. (addolorato) Misero me! qual infortunio è questo!
Cal. (attonito) Barach, che miro! in questa dolce effigie,
  In questi occhi benigni, in questo petto
  L’alpestre cor tiranno, che narrasti,
  Albergar non può mai.
Bar. Lasso! che sento?
  Signor, più bella è Turandot, nè mai
  Giunse pittore a colorir le intere
  Bellezze di colei. Non celo il vero.
  Ma non potria degli uomini eloquenti
  La più faconda lingua dispiegarvi
  L’ambizion, la boria, i sentimenti
  Crudi, e perversi del suo core iniquo.
  Deh scagliate, Signor, da voi lontana
  La velenosa effigie; più non beva
  La mortifera peste il guardo vostro
  Delle crude bellezze, io vi scongiuro.
Cal. (che sarà sempre stato contemplando il ritratto)

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