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246 Turandot

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  La pietade, ch’io sento. D’un tal padre,
  Qual siete voi, da educazion non ebbe
  D’esser tiranna esempio vostra figlia.
  Non ricerchiam di più. Colpa è in voi solo,
  Se colpa dir si può, tenero affetto
  Verso un’unica figlia, e d’aver data
  Al mondo una bellezza sì possente,
  Che trae l’uom di se stesso. Io vi ringrazio
  De’ generosi sentimenti vostri.
  Mal vi sarei compagno. O ’l Ciel felice
  Mi vuol, di Turandot a me diletta
  Donandomi ’l possesso, o vuol, che questa
  Misera vita, insofferibil peso
  Senza di Turandot, abbia il suo fine.
  Morte pretendo, o Turandotte in sposa.
Pant. Ma, cara Altezza, cara vita mia, averè za
  visto sora la porta della Città tutte quelle
  crepe de morto impirae, no vo digo de più.
  No so che gusto, che abbiè a vegnirve a far
  scannar, come un cavron, con sicurezza, per
  farne pianzer, come desperai tutti quanti. Sappiè,
  che la Principessa ve farà un impianto de
  tre indovinelle, che no le spiegheria el strolego
  Cingarello. Nu, che semo da tanto tempo deputai
  con sti Eccellentissimi Dottori del Divan
  a dar sentenza de chi spiega ben, e de chi
  spiega mal, per far eseguir la legge, pratici,
  consumai sui libri, stentemo all’improvviso a
  arrivar all’acutezza dei enigmi de sta Principessa
  crudcl, perchè no i xe minga: panza

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