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atto secondo 247

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  de ferro, bacile de bombaso, e va descorrendo;
  i xe novi de trinca e maledetti; e, se no la li
  consegnasse proposti, spiegai, e sigillai in tante
  cartoline a sti Eccellentissimi Dottori, forsi
  gnanca elli saveria, dove i avesse la testa. Andè
  in pase, caro fio. Se’ là, che parè un fior; me
  fè’ peccà. Varenta al ben, che ve vogio, che se
  ve ostine, fazzo più conto d’un ravanello del
  gobbo ortolan, che della vostra testa.
Cal. Vecchio, invan t’affatichi, invan ragioni.
  Morte pretendo, o Turandotte in sposa.
Tart. Turandotte... Turandotte. Ma che diavolo
  di ostinazione, caro figlio mio. Intendi bene.
  Qui non si giuoca a indovinare colla scommessa
  d’un caffè col pandolo, o di mezza cioccolata
  colla vaniglia. Capisci, capisci una volta; quì
  ci va la testa. Io non uso altri argomenti per
  persuaderti a desistere. Questo è grande. La
  testa, la testa ci va; la testa. Sua Maestà ti
  prega, ha fatto sacrificare cento cavalli al Sole,
  cento buoi al Cielo, cento porci alla Luna,
  cento vacche alle Stelle in tuo favore, e tu,
  ingrato, vuoi resistere per dargli questo rammarico.
  Se non vi fossero altre femmine al
  mondo, che la Principessa Turandotte, la tua
  risoluzione sarebbe ancora una gran bestialità.
  Scusa, caro Principe mio. In coscienza è l’amore,
  che mi fa parlare con libertà. Hai tu ben capito,
  che cosa sia il perdere la testa? mi par
  impossibile.

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