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atto secondo 257

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Tart. Se non fosse per il decoro del posto, anderei
  a prendere il vaso dell’aceto in cucina.
Tur. Misero, morto sei. Della tua sorte
  Te medesmo condanna.
Cal. (rientrando in sè stesso) Turandotte,
  Fu la bellezza vostra, che mi colse
  Improvviso, e confuse. Io non son vinto.
  (volgendosi all’uditorio)
  Tu, quadrupede Fera, e in uno alata,
  Terror dell’universo, che trionfi,
  E vivi in terra, e in mare, ombra facendo
  Colle immense ali tue grata, e felice
  All’elemento instabile, e alla terra,
  Agl’illustri tuoi figli, e cari sudditi,
  Nuova fenice, è ver. Fera beata,
  Sei dell'Adria il Leon feroce, e giusto.
Pant. (con trasporto) Oh siestu benedetto. No me posso più tegnir. (corre ad abbracciarlo)
Tart. (ad Altoum) Maestà consolatevi.
  (i dottori aprono il terzo foglio sigillato, indi in coro)
  È dell'Adria il Leone; è vero, è vero.
  (odonsi degli evviva allegri del popolo, e uno strepito grande di strumenti. Turandot cade in isfinimento sul trono. Zelima e Adelma l’assistono)
Zel. Datevi pace, Principessa. Ha vinto.
Adel. (a parte) Ahi perduto amor mio... No, non sei perso.
  (Altoum allegro discende dal trono, assi-

Gozzi. 16

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