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atto terzo 271

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  Di chi cade in miseria la memoria
  Facilmente, Barach.
Bar. No, fu imprudenza;
  Scusatemi, Signor. Gli sventurati
  Anche degl’impossibili temere
  Devono sempre. Le muraglie, i tronchi,
  Le inanimate cose acquistan voce
  Contro gli sfortunati, e tutto han contro.
  Io non mi so dar pace. Avete in sorte
  Vinta una donna sì famosa, e bella,
  Vinto un sì vasto regno al grave rischio
  Di quella vita, e poi tutto ad un tratto,
  Per fralezza di cor, tutto è perduto.
Cal. Non misurar Barach coll’interesse
  Il mio tenero amor. Di Turandot,
  Sola mia vita, non vedesti, amico
  L’ira, il furor, nè la disperazione
  Contro a me nel Divan.
Bar. Doveva un figlio,
  Più che al furor di Turandot, già vinta,
  Pensar alla miseria, in cui lasciati
  Ha i genitor meschini un giorno a Berlas.
Cal. Non mi rimproverar. Volli appagarla.
  Tento ammollir quel cor. L’azion, ch’io feci,
  Forse non le dispiacque. Una scintilla
  Forse di gratitudine ora sente.
Bar. Chi! Turandotte! Ah, mal vi lusingate.
Cal. Perderla già non posso. Dì, Barach,
  Tu non mi palesasti, è ver? Avresti
  Alla tua sposa detto, chi io mi sia?

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