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atto terzo 277

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SCENA SESTA.

Schirina e detti.



Sch. L’allegrezza,
  Che l’ignoto gentile ospite nostro
  Vittorioso sia; curiositade
  Di saper, come quella tigre ircana
  S’assoggettasse a divenir consorte,
  Nel Serraglio mi spinse, e con Zelima,
  Figlia mia, m’allegrai.
Bar. (sdegnoso) Femmina incauta...
  Tu non sai tutto, e garrula ghiandaia
  Ten corresti al serraglio. Io ti cercai
  Per proibirti ciò, che tu facesti.
  Ma stolta debolezza femminile
  Più sollecita è sempre d’ogni saggio
  Pensier dell’uom, che rare volte è a tempo.
  Quai discorsi tenesti? Udirti parmi
  Nella folle allegrezza a dir: L’ignoto,
  Zelima, ospite è nostro, e mio consorte
  Lo conosce, e l’adora. Ciò dicesti?
Sch. (mortificata) Che! saria mal, se ciò le avessi detto?
Bar. No, confessalo pur: dì, gliel dicesti?
Sch. Gliel dissi: ella volea dopo, che ’l nome
  Le palesassi; e a dirti ’l ver, promisi...
Bar. (impetuoso) Misero me! perduto sono... Ahi stolta!...
  Fuggiam di qua.

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