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atto quarto 293

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  Tra le risa, e ’l dileggio, a tuo dispetto,
  Ivi, in quel punto vo’, che segua il nodo.
  Ben mi ricorderò, che sin poche ore
  D’agitazion al cor del padre tuo
  Ricusasti di tor. Folle, rimanti. (entra collerico)
Tur. Adelma, amica mia, che tanto m’ami,
  Meco è ’l padre sdegnato... abbandonata
  In te solo confido... dal tuo amore
  Solo attendo soccorso al mio cimento. (entra)


SCENA QUINTA.


Cambiasi ’l Teatro in una camera magnifica con varie porte. Nel mezzo avrà un sofà all’orientale, per servir al riposo di Calaf. È la notte oscura.

Brigheilla con una torcia e Calaf.

Brig. Altezza, xe nove ore sonade. L’appartamento
  la lo ha passeggià tresento e sedese
  volte in ponto. A dirghe el vero, son stracco;
  se la volesse un poco reposar, qua la xe
  sicuro.
Cal. (ottuso) Sì, ti scuso, ministro. L’agitato
  Spirto mi fa inquìeto. Va, e mi lascia.
Brig. Cara Altezza, la supplico d’una grazia. Se
  mai capitasse qualche fantasma, la se regola
  con prudenza.
Cal. Quali fantasme? quì fantasme? come?
Brig. Oh Cielo! Nu gavemo commission, pena la
  vita, de no lassar entrar nissun in sto appartamento,

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