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atto quinto 317

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Cal. Signor, scusate.
  Grazie vi rendo. Io combattuto sono
  Da sospetti crudeli, e combattuto
  Sono d’esser cagion, ch’ella patisca
  Violenza e rossor. Vorrei piuttosto...
  Ah, ch’io nol posso dir. Se non è mia,
  Come viver potrei! Col tempo io voglio
  Co’ più teneri affetti far, che scordi
  Certo l’abborrimenlo. Questo core
  Tutto fia della sposa. Io vorrò sempre
  Ciò, ch’ella bramerà. Grazie, e favori
  Chi cercherà da me, non andrà in traccia
  Di adulator, di parasiti iniquì.
  Dell’altrui donna, che mi possa; e solo
  Dalla consorte mia richieste attendo
  Per favorire altrui. Fedel, costante
  Sempre sarò nell’amor suo. Giammai
  Sospetti le darò. Forse non molto
  Andrà, che adorerammi, e pentimento
  Dell’avversion, che m’ebbe, in breve io spero.
Alt. Olà, ministri miei, più non si tardi.
  Questo Divan sia Tempio, ond’ella entrando
  Scopra, ch’io so voler quanto le dissi.
  Si permetta l’ingresso al popol tutto.
  Tempo è, che paghi quest’ingrata figlia
  Con qualche dispiacer le tante angosce.
  Che suo padre ha sofferte. Ognun s’allegri.
  Le nozze seguiran. L'Ara sia pronta.
  (Apresi la cortina nel fondo, e scopresi
  l'Altare co’ Sacerdoti Chinesi
)

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