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110 I Vicerè

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:112|3|0]]duca, quantunque mille più di lui lo meritassero perchè di lui più colpevoli. In fin dei conti, egli non aveva preso nè gradi, nè stipendii, nè appalti dalla rivoluzione: era stato a vedere, aspettandone la riuscita; mentre tanti altri, dopo aver fatto gazzarra e il mangia-mangia, si buttavano ai piedi dell’Intendente e salutavano col cappello fino a terra nominando Sua Maestà Ferdinando II «che Dio sempre feliciti!» Questo voleva dire il duca, in propria difesa; questo diceva Giulente; ma cantavano ai sordi, e il duca si vedeva segnato a dito, bollato col nome di traditore, insultato e fin minacciato da lettere anonime. Un giorno l’amico don Lorenzo gli consigliò di partire: solo la lontananza e il tempo potevano avere virtù di far sbollire quell’odio. Il duca non se lo fece dire due volte, e andò a Palermo. Lì, il partito d’azione, vinto egualmente, era tuttavia meno depresso: le speranze non eran morte o cominciavano a risorgere. Passata la paura che le ultime vicende gli avevano messa in corpo, rinatagli in cuore l’ambizione inappagata e mortificata, il duca prestò di nuovo orecchio alle sollecitazioni dei liberali, anche per dimostrare ai suoi concittadini che egli non meritava il loro disprezzo. E quantunque non s’allontanasse dalla consueta prudenza, e andasse ai conciliaboli rivoluzionarii come ai ricevimenti del Luogotenente generale del Re, e tornasse insomma, con più prudenza, al giuoco di prima, arrivò tuttavia a Catania la voce che egil era nei comitati agitatori e in corrispondenza cogli emigrati, e che dava quattrini per la buona causa e che soccorreva i patriotti perseguitati. Oltre la voce, arrivarono anche i quattrini che egli mandava ai comitati locali, comprendendo finalmente che quella era la buona via; che uno come lui, senza fede e senza coraggio, non poteva far valere altri titoli se non i denari sonanti. E frattanto gli animi placati vedevano meglio, riconoscevano i maggiori colpevoli, rivolgevano contro costoro l’odio col quale avevano prima perseguitato il duca. Infine venne il matrimonio di Raimondo con la Palmi ad as-

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