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I Vicerè | 115 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:117|3|0]]egli non aveva potuto eseguire nel palazzo le modificazioni da lungo tempo disegnate; morta donna Teresa, prese finalmente le redini della casa, metteva ora ogni cosa sossopra. S’udivano fino in cucina i colpi di piccone dei muratori, il cigolìo delle carrucole con le quali issavano i materiali dalla corte al piano di sopra; e i guatteri, occupati ad affettar patate e a sbatter uova, scambiavano fra loro osservazioni su quei lavori:
― Levano la scala dell’amministrazione per guadagnare spazio....
― Io non avrei chiuso un pezzo della terrazza.
― Il padrone però deve dar conto a suo fratello, essendo eredi tutt’e due.
― Ma il palazzo è del principe! Il contino ha un solo quarto....
Il principino adesso non perdeva una parola del discorso.
― Il contino scapperà subito fuori via.... Non è fatto per star qui....
Il lavoro delle salse li faceva tacere tratto tratto. Luciano, con una strizzatina d’occhio, disse dopo un pezzo al compagno:
― Ricomincia, eh?
― Lascialo fare! Quello è un vero signore!
E Luciano chinò il capo, in segno d’approvazione ammirativa. Erano tutti pel conte, in cucina, come nelle anticamere, come nelle scuderie; perchè il padrone giovane non rassomigliava al maggiore, tanto era dolce di comando e largo di mano.
― Signore davvero, di modi e di pensieri.... Non come l’amico...
― L’amico è volpe vecchia.... com’era l’amica....
― Che dite? ― domandò il principino.
― Niente, Eccellenza! ― rispose il cuoco; e vòlto ai dipendenti: ― Lavorate! ― ingiunse ― senza tante ciarle....
― Ah, non vuoi dirmelo?
― Ma che cosa, Eccellenza, se parlano così, a vanvera?