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138 | I Vicerè |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:140|3|0]]quelli i sintomi? Poteva ingannarsi? Tante volte aveva sperato d’apporsi e festeggiato invano l’avvenimento, che adesso non ardiva più annunziare apertamente la gravidanza se non prima la vedeva confermata. Poi, lasciata la principessa, prese a parte Matilde, ricominciò a dirle: — La levatrice n’è certa! Tu che cosa provi?... Com’è cominciato?..."
Matilde non l’udiva. Adesso che don Blasco non misurava più la sala da un’estremità all’altra, Raimondo aveva ricominciato l’armeggio dello zio monaco, non stava fermo un momento, chiedeva continuamente che ora fosse. Voleva andar fuori? Aspettava qualcuno? Ella era inquieta della sua inquietudine.... Frattanto arrivavano nuove visite: la duchessa Radalì e il principe di Roccasciano, donna Isabella Fersa col marito. L’entrata di quest’ultima mise sottosopra la società; il principe che ordinariamente non era molto galante con le signore, le andò incontro fino nell’anticamera; Raimondo anche lui l’ossequiò tra i primi. Ella portava, come sempre, un abito nuovo fiammante che Lucrezia esaminava ora con la coda dell’occhio, e la principessa, Chiara, tutte le altre, giudicavano a una voce elegantissimo.
— Manifattura di Firenze, è vero, donn’Isabella? — domandò Raimondo.
— Si vede che vostro marito se ne intende, contessa! — rispose ella, indirettamente, volgendosi a Matilde.
Don Mariano parlava della parata della Regina, di cui quel giorno era il natalizio; Fersa del colera, della quarantena di dieci giorni decretata allora allora contro le provenienze da Malta, della fiera di Noto rimandata, del pericolo che correva un’altra volta la Sicilia; e il vocione di don Blasco rispondeva:
— Questa è l’impresa di Crimea! Il regalo dei fratelli piemontesi, capite?...
Il duca, quasi non comprendesse che l’allusione era diretta a lui, ripigliava il discorso della guerra interrotto a tavola, diceva che Cavour l’aveva sbagliata. La