< Pagina:I Vicerè.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
158 I Vicerè

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:160|3|0]]zica di dodici tarì. Si nascondeva dal marito il quale come tutti i parsimoniosi, biasimava ogni specie di giuoco: amici compiacenti stavano alle vedette per farle un segno appena egli s’avvicinava; allora ella e il suo complice facevano sparire i gettoni, interrompevano la partita e si lasciavano sorprendere intenti a una scopa innocente. Raimondo ci si spassava, incitava la principessa al giuoco forte, la tirava in una stanza fuori mano dove restavano più a lungo a contendersi i quattrini, mettendo poi in mezzo, con l’aiuto di tutta la società, il principe sospettoso. Matilde, sorridendo anche lei di quelle scene da commedia, giudicava tuttavia che suo marito facesse male a fomentare così il vizio della principessa; ma non le bastava il cuore di rimproverarlo, tanto la rinata fiducia la faceva indulgente. Purchè egli non la tradisse, che le importava del resto? Tra le signore che venivano alla villa, Raimondo pareva non apprezzarne alcuna; stava poco in loro compagnia, si dava tutto al giuoco: il giorno al casino, la sera in casa. Non che biasimarlo per questo, ella avrebbe quasi voluto spingerlo in quella via che lo distoglieva da un’altra infinitamente più dolorosa. Il cuor suo lo avrebbe voluto senza nessun vizio, solo amante di lei, della famiglia, della casa; ma lo prendeva com’era, anzi come lo avevano fatto, giacchè ella addebitava quel che trovava in lui di men bello alla soverchia indulgenza, al cieco amore della madre.

Lontano dal tavolino, Raimondo s’annoiava. Se non poteva combinare una buona partita, smaniava contro la noia di quel villaggio, contro la conversazione dei villani, contro gli stupidi divertimenti della tombola e delle gite sugli asini. Ella poteva dirgli: «Con chi te la prendi? Non volesti venirci tu stesso?» Però taceva, affinchè egli non prendesse quelle parole come un rimprovero. Invece, vedendolo di cattivo umore, gli domandava dolcemente che avesse:

— Ho che mi secco, non lo sai? — egli rispondeva.

— Che voi farci!... Quando il colera cesserà, torneremo a Firenze.... Perchè non vai al casino?

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.