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174 | I Vicerè |
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VI.
— Abbas!... Abbas!... — disse il fratello portinaio, inchinandosi.
— Che significa? — domandò, allo zio Priore, Consalvo che il padre conduceva per mano.
— Vuol dire che l’Abate è in convento — spiegò Sua Paternità.
Su per lo scalone reale, tutto di marmo, il ragazzo guardava le pareti decorate di grandi quadri a mezzo rilievo di stucco bianco sopra fondo azzurrognolo: San Nicola da Bari, il martirio di San Placido, il battesimo del Redentore, con sciami d’angeli in giro, corone, festoni e rami di palme sulla vôlta. Lo scalone sbucava nel corridoio di levante, dinanzi alla grande finestra che metteva nella terrazza del primo chiostro.
— È là, — disse il Priore, inchinandosi verso un’ombra nera che passava dietro i vetri.
L’Abate, dall’esterno, attaccò il viso al finestrone e riconosciuti i visitatori, esclamò, gestendo:
— Apri, apri, Ludovì...
Il Priore fece girare la spagnoletta, e presa la mano del superiore la baciò rispettosamente; il principe e il principino seguirono l’esempio.
— Benedetti, figliuoli, benedetti!... Questo è dunque il nostro monachino? Oh, che bel monachino ne vogliamo fare!... Consalvo, eh? — domandò rivolto al principe; poi, al ragazzo: — Consalvo, tu sei contento di stare con noi, che?...
— Rispondi!... Rispondi a Sua Paternità...
Il ragazzo disse, guardandolo in viso:
— Sì.
— Bravo!... Che bel ragazzo!... Che occhi!... Tu starai qui con lo zio, crescerai buono e santo come lui, che?... — e mise affabilmente una mano sulla spalla del Priore, il quale mormorò, arrossendo: