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176 | I Vicerè |
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— Questo è il nostro nuovo monachino, spiegava Sua Paternità. — Abbraccia il cuginetto!... La tua camera è pronta, or ora ci andremo. Adesso tu lascerai il tuo nome; ti chiamerai Serafino. Il tuo cuginetto si chiama Angelico, che?... Questo qui è Placido, questo Luigi...
Erano frattanto arrivati due camerieri con vassoi pieni di dolci, ai quali i novizii facevano festa.
— Vedrai che è bello, qui, — diceva il maestro al nuovo arrivato, accarezzandolo. — Ti divertirai, con tanti compagni...
Consalvo chinava il capo, lasciava che dicessero. La curiosità del primo momento gli era passata, sentiva adesso una gran voglia di piangere; nondimeno guardava tutti in viso, quasi in atto di sfida, per non darla vinta a suo padre che aveva per forza voluto metterlo lì dentro. E frà Carmelo era stupito della sua franchezza: tutti gli altri ragazzi, il primo giorno, avevano gli occhi rossi, dicevano che non volevano starci, piangevano immancabilmente quando il barbiere tagliava loro tutti i capelli, quando lasciavano gli abiti secolari per vestire la nera tonacella. Invece il principino, andato via suo padre dopo l’ultimo predicozzo, li lasciava fare, vedeva cadere i capelli sotto le cesoie senza dir nulla, indossava il saio come se l’avesse portato fin dalla nascita.
— Bravo!... Sempre così contento ha da starci!... Vedrà poi quanti giuochi, quanti spassi....
Il ragazzo rispose, duramente:
— Io sono il principe di Francalanza; non sempre ci starò.
— Sempre?... Chi l’ha detto?... Ci starà qualche anno, finchè imparerà.... Sempre ci stanno i suoi zii... Adesso, adesso andremo da Padre don Blasco....
E presolo per mano, gli fece rifare la via tenuta al venire, fino alla camera del Decano, che era nel corridoio di mezzogiorno, col quadro di San Giovanni Boccadoro sull’uscio.
— Deo gratias?...
— Chi è? — rispose il vocione del monaco.