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224 | I Vicerè |
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— Io!... Io!... — balbettava Matilde, con le labbra amaramente contorte dall’ambascia. — Io che piango da due anni.... Io che non ho più figlie.... Io che l’ho pregato come si prega Gesù!...
— Bontà divina!... Avete ragione!... Ma zitta, non piangete così.... Cugina mia, fatevi animo.... Solo alla morte non c’è rimedio!... Del resto io non credo che ci sia stato nulla di male!... Chiacchiere della mala gente!... Raimondo è un po’ scapato; ma, questo? Non posso credere! La colpa, com’è vero Dio, è di quell’altra... Le piace farsi corteggiare un poco, ma dal conte di Lumera, figuriamoci! Pura vanità, statene certa e sicura! Ma non piangete!... Queste cose, santo Dio, mi fanno male.... Una famiglia così bella, dove avrebbe potuto esserci la pace degli angeli, con due veri angioletti che sembrano scesi dal Paradiso!... Ma vostro marito deve saperlo; vedrete che capirà.... Perché non chiamate vostro padre? Lui ha da aiutarvi...
Il barone, invece, le scriveva rimproverandole l’abbandono delle figlie, accusandola di voler più bene al marito che a quelle creature, chiamandola a casa per assistere al matrimonio della sorella. Ella tentò ancora nascondergli la tempesta scatenatasi su lei, la tortura a cui la poneva con quelle accuse; ma nell’autunno egli venne a trovarla, improvvisamente, solo.
— Che cosa succede? Sei ammalata? Che cos’ha tuo marito? Perchè non m’hai scritto? Perchè non sei venuta?
Ella protestò che non accadeva nulla, che s’era sentita poco bene, che appunto per questo non aveva potuto andar da lui. L’imminenza d’una spiegazione tra suo padre e Raimondo l’atterriva; conoscendo il carattere prepotente, i modi sprezzanti di suo marito, e gli scatti d’ira di cui suo padre era capace, ella viveva con l’animo sospeso, dimenticava i suoi dolori per evitare uno scoppio, tanto più che il barone pareva non aver creduto alle sue proteste, mostrava un viso aggrondato in quella casa che prima era stato superbo d’abitare. Adesso stava molto