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I Vicerè | 247 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:249|3|0]]traversarono insieme le vie deserte peggio che in tempo di peste, con tutte le botteghe e le finestre sbarrate e un silenzio pauroso. Don Gaspare Uzeda, nonostante le assicurazioni dei Giulente, nonostante le prove della popolarità riacquistata tra i liberali, temeva che qualcuno non gli rimproverasse il suo rimpiattamento a San Nicola, nel giorno dell’azione; che i rivoluzionarii del Quarantotto non gli rammentassero le storie antiche; le gambe, pertanto, gli vagollavano nell’entrare al municipio, nel traversar la corte piena di gente, nel salir su dove deliberavano; ma a poco a poco il sorriso gli spuntava sulle labbra pallide e chiuse, il sangue tornava a circolargli liberamente nelle vene, poichè da tutte le parti lo salutavano rispettosamente o cordialmente: i popolani s’inchinavano, gli amici stringevangli la mano, esclamando: «Finalmente!... Ci siamo!... Non abbiamo più padroni!... Adesso finalmente i padroni siamo noi!...» La cosa più urgente era l’ordinamento d’una qualunque forza pubblica, d’una milizia civica che prestasse servizio finchè si sarebbe formata la Guardia nazionale. Occorrevano quattrini per l’armamento della milizia e della guardia: aperta una sottoscrizione per raccogliere i primi fondi, il duca offerse trecent’onze. Nessuno aveva dato tanto, la cifra produsse grande effetto; quando la riunione si sciolse, parecchie dozzine di persone riaccompagnarono don Gaspare a San Nicola.
Il domani mattina egli aggiunse altre cent’onze per l’acquisto delle munizioni. Il favore universale gli crebbe intorno. Mancava lavoro, poichè la città era tuttavia un deserto: egli non lasciò andare a mani vuote nessuno di quelli che gli si rivolsero per sussidio. Preso coraggio, andò tutti i giorni al Gabinetto di lettura, dove i liberali commentavano con tripudio le notizie dei progressi della rivoluzione; si mise a capo delle dimostrazioni che andavano a prendere la musica dell’Ospizio di Beneficenza e al suono dell’inno garibaldino giravano per la città. A poco a poco, sempre più rassicurato, quasi domiciliossi al municipio dove chiedevano i suoi consigli.