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284 | I Vicerè |
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Lucrezia trionfava: Benedetto veniva tutte le sere a farle la corte; fra sei mesi sarebbe stato suo marito. Della transazione strozzata, del sacrifizio fatto per proprio conto e quasi imposto agli altri, non si rammentava neppure. Il giovane, articolo interesse, quasi non l’aveva lasciata dire, poichè voleva lei e non la dote, poichè a quel patto s’era ottenuto il consenso del principe. Tuttavia questo consenso era così freddo che pareva strappato per forza; senza contare che don Blasco e donna Ferdinanda non venivano più al palazzo, che lo stesso don Eugenio faceva il viso dell’arme al futuro nipote. Ma più i parenti si mostravano contrarii al matrimonio, maggiori dimostrazioni d’affetto ella faceva a Benedetto: «Non dar loro retta: sono tutti pazzi! Senza ragione ti odiano, senza ragione un bel giorno faranno pace!...» E gli narrava le loro pazzie, gli suggeriva il modo come disarmarli, come prenderli dal loro debole. Il giovane non aveva bisogno dei suoi consigli, giacchè poneva ogni studio nel farsi accettare dai futuri parenti, sapendo che, se avrebbe potuto fare un matrimonio migliore quanto a interesse, non ne avrebbe potuto fare uno migliore quanto a nobiltà. E i Giulente avevano la manìa d’essere nobili o per lo meno nobilitati dalla lunga serie di magistrati avuti in casa: il loro più grande cruccio era per la mancata istituzione del maggiorasco. Pertanto custodivano gelosamente i diplomi e i ritratti di tutti i dottori, giudici e presidenti dai quali discendevano, e si vantavano per le nobili alleanze contratte, specialmente nelle ultime generazioni. Così agli occhi della gente che non andava troppo pel sottile erano considerati come nobili; come a nobili senza titolo davano loro del cavaliere; ma i puri li tenevano a una certa distanza. In queste condizioni il matrimonio di Benedetto con la sorella del principe di Francalanza era una fortuna, e come tale la consideravano don Paolo e donna Eleonora sua moglie. Dall’orgoglio d’essere riusciti a combinarlo, essi neppure s’accorgevano della freddezza e dell’ostilità degli Uzeda,