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320 I Vicerè

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:322|3|0]]ma, al marito, ai parenti che la esortavano a chiamare qualcuno:

— Non voglio nessuno! — rispondeva, cocciuta, per partorire da sola.

— Questa è nuova! — gridava don Blasco, il quale voleva ficcare il naso anche nel ventre della nipote. — Una gravidanza di dieci mesi dove s’è vista? Meno male se durasse dodici, quanto l’asina che sei!

Infatti, era cominciato l’undicesimo mese, secondo il primo calcolo. E una sera che ella non ne poteva più, che si sentiva morire e non riusciva a nascondere le proprie doglie, suo marito, spazientito per la prima volta dopo otto anni di matrimonio, gridò:

— Se qui non viene un dottore, mi prendo il cappello e me ne vado.

Venne il dottor Lizio e si chiuse con la partoriente, mentre il marchese aspettava ansioso nel salotto, coi parenti. Udendo che il chirurgo schiudeva l’uscio e chiamava, corse a domandargli, trepidante:

— Dottore!... È sgravata?

— Ma che sgravare e aggravare d’Egitto! — esclamò Lizio. — Vostra moglie ha una ciste all’ovaia grande come una casa. Un altro poco, ed era spacciata!...


III.


A San Nicola, dopo la sistemazione del governo italiano, si faceva la stessa vita di prima, come al tempo dei Napoletani; anzi era questo uno degli argomenti sfoderati dai liberali contro i sorci, durante le discussioni politiche che s’impegnavano continuamente all’ombra dei chiostri.

— Avete visto? A darvi ascolto doveva succedere il finimondo, dovevano mandare all’aria il convento, e invece è sempre ritto....

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