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I Vicerè 351

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:353|3|0]]andò fuori, le fece da cavalier servente, perorò in pubblico e in privato la sua causa dandole della «nipote.»

Anche Lucrezia, a dispetto del marito, si faceva vedere per le strade con lei, la sosteneva, si scagliava con violenza contro il fratello maggiore, spiegandone l’opposizione con un motivo semplicissimo.

— Per la morale? Per farsi pagare il suo appoggio! Scommettiamo? Io non ho dovuto pagargli il suo consenso al mio matrimonio?

— Lucrezia!... — avvertiva Benedetto.

— Che c’è? Non è forse vero? Non ho dovuto accettare la transazione strozzata per sposarti? È storia che tutti sanno! Adesso viene la tua volta, — e si volgeva a Raimondo. — Vedrete se sbaglio! Aveva ragione lo zio don Blasco, quando diceva.... A proposito, perchè non vai a fargli una visita? E a Lodovico? Quanti più saranno dalla tua, tanto meno varranno gli scrupoli di Giacomo. Andiamo insieme, v’accompagno io....

E Raimondo rifece la via del Bosco, andò con la sorella e col cognato a Nicolosi, dove i Benedettini villeggiavano, a mendicar l’appoggio del fratello e dello zio monaci. Don Blasco era a giorno di tutto e, dimenticato a un tratto Garibaldi, non faceva altro, lassù, che gridare come un ossesso contro Raimondo che aveva fatto l’ultimo e più grande imbroglio; poi contro Giacomo, non meno imbroglione del fratello, verso il quale, dopo avergli tenuto il sacco, faceva adesso il puritano: perchè? Per strozzarlo!... All’arrivo dei nipoti, dopo il refettorio, egli dormiva come un ghiro, quando Frà Carmelo lo destò.

— Che c’è? — vociò — Perchè mi rompi il capo?

— Vostra Paternità mi scusi; ci sono i parenti di Vostra Paternità.

Egli venne fuori, e appena vide Raimondo aprì bene gli occhi ancora imbambolati. Come Lucrezia e Benedetto, Raimondo gli baciò la mano. Egli lasciò fare, borbottando:

— Che c’è? A quest’ora? Con questo sole?

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