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I Vicerè | 403 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:405|3|0]]cava i suoi amici di lavorare per lui. Gli affari non gli consentivano di lasciar Firenze, e questi affari, in fin dei conti, erano più quelli degli elettori che i suoi proprii. I suffragi dovevano quindi andare a lui, come al naturale, al legittimo rappresentante del paese; era assurdo supporre che qualcuno pensasse a contrastarglieli. Quanto a render conto del modo col quale aveva esercitato l’ufficio ed a spiegare le proprie convinzioni politiche ed a studiare i bisogni o ad ascoltare i voti del collegio, uno scambio di lettere con Giulente zio e nipote, con qualcuno dei pezzi grossi, bastò. I soliti malcontenti tornavano a fargli stupide accuse, tentavano un’altra volta di rivangare le vecchie storie; i repubblicani, i sinistri gli rimproveravano il suo servilismo verso il governo, tentavano contrapporgli qualcuno dei loro; ma incontravano da per tutto forte resistenza, erano costretti a battere in ritirata. Un giornaletto satirico settimanale, il Ficcanaso, faceva ridere la gente, dicendo che l’onorevole d’Oragua aveva fatto alla Camera quanto Carlo in Francia, senza neppure aprir bocca; ma il Pensiero italiano, successo all’Italia risorta, dichiarava che il Paese non sapeva che farsi dei chiacchieroni, e preferiva i cittadini intemerati che votavano senza ascoltare altra voce se non quella della propria coscienza. Esso non nominava mai il duca senza chiamarlo l’eminente Patriotta, l’insigne Patrizio, l’illustre Deputato; e all’annunzio dello scioglimento della Camera ne cominciò il panegirico. Fra i tanti meriti del «cospicuo Cittadino» quello d’aver contribuito precipuamente all’istituzione della Banca Meridionale di Credito non era certo il più piccolo; e don Lorenzo Giulente, nel suo gabinetto di direttore, raccomandava alla gente che veniva a prender quattrini l’elezione del duca. «C’è bisogno di rammentarcelo?...» Ma, considerando la velleità d’opposizione, gli amici del deputato volevano ottenere una vittoria strepitosa; infatti gli misero insieme quasi trecento voti. Il duca, riconoscente, fece cadere sul collegio una nuova strabocchevole pioggia di croci di San Maurizio e Laz-