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I Vicerè | 473 |
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E cominciò a enumerare gl’insigni sottoscrittori: Sua Altezza il Bey di Tunisi, i vizir della reggenza, i più gran signori palermitani; il principe d’Alì, il marchese di Lojacomo, il duca tale e il conte tal altro.
— E?... — fece il monaco, quasi per dire: «Perchè vieni a contarmi queste storie?» senza neppur domandare al fratello: «Sei stato a Tunisi? Che sei stato a farci?»
— Ho pure le firme di venti municipii, di trenta società, di otto biblioteche. L’affare è magnifico. A conti fatti, dedotte le spese di stampa, carta, posta, etc. con le sole soscrizioni sinora raccolte il guadagno è assicurato. Ma debbo ancora girare mezza Sicilia per fare associati. Se arriveremo a trecento, resteranno diecimila lire nette.
— E?...
— Io ti vorrei proporre di stampare insieme il libro.
Il monaco lo guardò fisso nel bianco degli occhi.
— Sei pazzo?
— Perchè pazzo? Non credi che ci sia da guadagnare? Ti faccio i conti in quattro e quattr’otto, ti faccio vedere le firme raccolte...
— Non voglio veder niente! Credo benissimo e ti ringrazio tanto. Tieni per te le diecimila lire.
Il cavaliere aveva un bell’insistere, col tono persuasivo e insinuante d’un sensale o d’un mezzano, e un bel sgolarsi per dimostrare a luce meridiana l’eccellenza della sua proposta; don Blasco continuava a rifiutare, dapprima seccamente, poi alzando la voce, poi gridando perchè quel seccatore gli si togliesse dai piedi.
— Allora... se non vuoi correre i rischi dell’affare... fammi un favore... I soscrittori non pagano anticipatamente; m’occorre una somma per cominciare la stampa. Prestami un migliaio di lire...
— Non le ho.
— Ti cederò le firme più sicure, le sceglierai tu stesso...
— Non le ho.