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I Vicerè 483

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:485|3|0]]s’allontanava, andava ad ordinare la sua cameretta o a badare alle sue cosucce. Non era soltanto bella da far strabiliare, ma piena d’ingegno, istruita da dar punti a tanti uomini. Disegnava e dipingeva, parlava il francese e l’inglese come la sua propria lingua, sapeva far versi e comporre musica; e modesta, con questo, semplice, buona, affettuosa da non si dire. Rientrando nella casa dove, bambina, aveva lasciata la sua mamma, e adesso non la trovava più, avevano dovuto sorreggerla e i suoi occhi eran parsi due vive fonti, dal tanto pianto; ma il culto per la santa memoria non le impediva di rispettare e di amare il padre e la madrigna. E timorata di Dio, sempre con qualche libro di preghiere tra le mani, quando non lavorava ai suoi ricami, ai suoi disegni, alla sua musica: certi libri dorati, ricoperti di velluto o di pelle odorosa: mesi di Maria, coroncine della Beata Vergine, vite di Santi, pieni ad ogni pagina d’imagini divine, tutti premii riportati quand’era all’Annunziata. Ma questi sentimenti pii, questo timor di Dio non le impedivano di amare, come conveniva ad una fanciulla della sua età, gli svaghi mondani, le eleganze della moda. Quando aveva da vestirsi per far visito o per riceverne, o per andare al passeggio o al teatro, ella s’indugiava come le altre, dinanzi allo specchio; e aveva un certo modo tutto suo di portare gli abitini più semplici che la faceva parer vestita come per andare a un ballo. Quando passavano dalla modista o dalla sarta, se dovevano sceglier stoffe o guarnizioni o minuti oggetti d’ornamento ella dava prova di gran gusto, scegliendo le cose più belle e più eleganti, persuadendo con buone maniere la zia Lucrezia, la quale, dacchè teneva le chiavi della cassa, si faceva un abito ogni quindici giorni, afferrandosi sempre a quel che c’era di più disgraziato, ed imbronciandosi se non lodavano la sua scelta. Invece la principessa lasciava che la figliastra facesse a modo suo e scegliesse quel che le piaceva; anzi, si rimetteva a lei per le cose sue proprie. «Che gusto, quello della mia figliuola!... Che figliuola modello!...» La lodava specialmente per la dolcezza del

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