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I Vicerè 509

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— Io penso con la mia testa, — rispondeva freddamente il figlio. — ciascuno è libero di pensarla come crede. Mia zia non può impormi le sue idee... e se spendo qualche cosa a libri, domando altro?...

Ogni domenica c’era un’altra lite per la messa. Consalvo si seccava di andare a sentirla, sorrideva d’un ambiguo sorriso allo zelo religioso del padre: costretto a confessarsi, recitava al vecchio domenicano una filastrocca di bislacchi peccati. Punzecchiava anche la sorella pel fervore che ella metteva nelle pratiche divine; voltava le spalle alle tonache nere che bazzicavano per la casa. Il principe aveva fatto costrurre, nel camposanto del Milo, un monumento di marmo e bronzo sulla sepoltura della prima moglie: negli anniversarii della morte andava lassù con la principessa e Teresa, faceva dire molte messe pel riposo dell’anima della defunta, portava grandi corone di fiori sulla tomba. Consalvo non andava mai insieme con la famiglia: o un giorno prima, o un giorno dopo. Ad ogni pretesto addotto dal figlio, il principe lo guardava fisso; poi si lasciava condurre via dalla moglie, la quale lavorava a mettere pace, ad evitar liti. E adesso l’urto era più tra figlio e padre che tra figliastro e madrigna; Consalvo si piegava piuttosto ad una buona parola della principessa che alle ingiunzioni del principe.

Un giorno annunziò che aveva preso un professore di tedesco e d’inglese. Il padre, dopo averlo guardato bene in viso, gli domandò:

— Mi spiegherai una volta che diamine vuoi fare?

Consalvo, dopo averlo guardato anche lui:

— Quel che mi pare, — rispose.

A un tratto il principe diventò rosso come un gambero e, levatosi da sedere, quasi una molla lo avesse spinto, si precipitò contro il figliuolo, gridando:

— Così rispondi, facchino?

Se la principessa e Teresa non si fossero slanciate a trattenerlo, e se Consalvo non fosse andato subito via, sarebbe finita male. Da quel momento la rottura fu as-

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