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518 | I Vicerè |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:520|3|0]]parlare di politica e di filosofia. Tutto l’oro del mondo non lo avrebbe piegato a fare un giro di valzer: egli perorava nel cerchio degli uomini, e se avvicinava le signore o le signorine, le metteva a parte del bilancio comunale, del regolamento scolastico e del gettito dei dazii consumo, con molte citazioni statistiche e proverbii latini. Ripetuta di bocca in bocca, la notizia del suo matrimonio arrivò anche a lui; e allora egli scoppiò in una risata cordiale, dicendo, più laconico del padre:
— Sono pazzi!
Prender moglie, sposare una bambola carica d’oro come quella baronessina, legarsi ancora più strettamente a quel paese dal quale voleva andar via, crearsi gli avvincenti doveri della famiglia, quando egli aveva bisogno d’essere libero come l’aria, di dedicare tutte le proprie energie al conseguimento dello scopo prefissosi? Eran pazzi, davvero! E la cosa gli parve tanto buffa, che neppur volle smettere le visite al barone.
Giusto in quel torno, perduta ogni speranza, Giuliano Biancavilla partì. Chi diceva che sarebbe andato a Roma, chi a Parigi, chi aggiungeva che non sarebbe mai più tornato a casa, senza riguardo al dolore dei suoi. Il duca, per incarico del principe che aveva paura di parlare direttamente col figliuolo, annunziò a Consalvo che era tempo di prender moglie e che tutta la famiglia era d’accordo per dargli la baronessina.
— Benissimo, Eccellenza, — rispose il giovane. — C’è però una difficoltà.
— Cioè?
— Che io non la voglio!
— E perchè non la vuoi?
— Perché no! Si tratta di me o di Vostra Eccellenza? Si tratta di me! Dunque tocca a me manifestare la mia volontà. Io non la voglio.
Quando il duca riferì al principe questa risposta, Giacomo era già fuori della grazia di Dio, per aver saputo che il perito, incaricato dal tribunale di esaminare il testamento del fu don Blasco, s’era pronunziato contro