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I Vicerè 539

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I danari arruffati con l’Araldo Sicolo non avean fatto pro al cavaliere. Prima di tutto, la gente da lui mandata attorno ad incassare il prezzo dei fascicoli si tratteneva, di riffe o di raffe, una buona metà: certuni poi se l’eran battuta col valsente. Provato a far da sè, i guadagni se n’eran andati a spese di viaggio. Il cartaio, l’incisore e il tipografo avevano avuto da parte loro solo qualche acconto; quindi s’erano accordati per sequestrar le copie dell’opera e non lasciarle se non dopo pagamento, talchè don Eugenio, se ne volle vendere, dovè pagarle quanto costavano e contentarsi di guadagnarci qualche lira. I premii pagati dai «branchi» delle «blasonate famiglie» gli eran serviti a fare qualche giorno di buona vita, e adesso egli precipitava di nuovo nella miseria. Per sollevarsi, tentava un altro colpo: il Nuovo Araldo, ossivero Supplimento all’opera storico-nobiliare. Con meno pudore e più fame di prima, egli voleva metterci non solo le famiglie dimenticate, ma anche i nuovi nobili, quelli che non si trovavano nel Mugnòs e nel Villabianca, la gente che si faceva dare del cavaliere senza avere titoli autentici, che sfoggiava stemmi più o meno fantastici. Ma per far questo gli bisognavano altri quattrini... Visto di non poter sperare nulla dal principe, andò da Consalvo, che nella sua qualità di assessore poteva dargli aiuto; ma il principino adesso aveva fatto un altro passo avanti nelle idee politiche. Il 16 marzo di quell’anno 1876, dopo sedici anni, il partito di destra era finalmente capitombolato con grande stupore del moderatume paesano e gioia infinita dei progressisti. In quel frangente i nemici del duca profetarono che il grande patriotta, seguendo la solita tattica, si sarebbe voltato contro gli antichi amici, a favore dei nuovi trionfatori; ma la profezia non s’avverò. Il duca, che non andava più da tanto tempo alla capitale, e non sapeva perciò le ragioni e l’importanza della «rivoluzione parlamentare,» non credette alla riuscita e alla durata di essa, e si

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