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590 I Vicerè

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:592|3|0]]certo, era un segno di forza; ma alla lunga non avrebbe potuto nuocergli? Teresa, specialmente, credeva che la forza vera fosse più modesta, più riguardosa, più timida; il cognato consentiva nei suoi giudizii; però scagionava Consalvo, attribuiva quel che v’era di meno bello in lui al sistema politico. Doleva sopra ogni cosa a lei che il fratello non avesse una fede salda e desse ragione a tutti e si ridesse di tutto. Egli non praticava più, e questo era per lei un grande dolore; ma avrebbe piuttosto preferito una franca negazione ai sotterfugi ch’egli poneva in opera. Per Sant’Agata, alla testa della Giunta, con l’abito nero e le decorazioni, egli assisteva alla messa pontificale dinanzi a migliaia di persone stipate nella cattedrale; poi dichiarava: «La mascherata è finita!»

— Perchè ci vai, allora? — gli domandava la sorella. — È meglio restare a casa, se credi che sia una mascherata.

— È meglio... — confermava Giovannino.

— Se resto a casa, perdo l’appoggio dei sagrestani e dei baciapile!

— Ma i liberi pensatori che ti vedono in chiesa, — soggiungeva il cugino, mentre Teresa approvava col capo, — che dicono?

— Dicono, come me: «Costa, il favore popolare!...»

No, no, ella non voleva che suo fratello fosse così. E sosteneva con lui discussioni vivaci durante le quali le dava della pinzochera, della clericale, per finire con una raccomandazione: «Non m’inimicare i tuoi Monsignori!»

Ma i prelati che venivano a trovare la giovane duchessa le facevano anch’essi molti elogi del fratello. Scrollavano un poco il capo, veramente, a motivo dello scetticismo di lui, ma riconoscevano le sue buone qualità; e «quando il fondo è buono, non bisogna disperare.» La frequentazione di quegli ecclesiastici, l’ascolto che prestava loro non facevano rinunziare Teresa alle sue idee, in fatto di politica religiosa. Devota credsote

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